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ALCHIMIA PERSONAGGI ARCHEOLOGIA NUMEROLOGIA
BREVE STORIA DELL'ALCHIMIA
- ratto da libro "Alchimia, l'arte della trasformazione" di Jay Ramsay -
Radici storiche dell'alchimia
12-11-2011

Le radici dell'alchimia sono complesse e profonde; affondano e si prolungano nella terra e indietro nel tempo, attraversando mari e continenti. La storia dell'alchimia è inscrìtta nel suolo, nella terra dal­la quale ha avuto origine e nella quale si trova tuttora. Come l'Albe­ro della Vita, essa protende le sue radici verso il basso alla ricerca di nutrimento.

 

L'alchimia è sempre stata chiamata "Arto divina" o "Arte sacra", e fi­no al V secolo d.C. era conosciuta come lale. Benché nella nostra trat­tazione ci occuperemo principalmente della tradizione occidentale, va ricordato che le sue origini risalgono all'antica Cina, in epoca prece­dente al 25,00 a.C.; in seguito si o sviluppala in India e nell'Estremo Oriente, in particolare in Giappone e nell'Asia sudorientale. Sia in Ciria sia in India, l'alchimia si proponeva quale fine specifico di favorire la longevità, il prolungamento ddin" vita umana. Ritrovia­mo questo riferimento nel termine cinese Chin-jo ("succo d'oro" o "elisir"), ma anche nei testi tantrici che costituiscono una sezione dei Veda, le più antiche scritture sacre della tradizione indiana" Occorre tuttavia andare più in profondità per individuare la fonte comune, che risiede in una concezione della terra come entità magica e viven­te, una "Gaia" che si autogenera, una gemma preziosa sepolta, av­volta da strati e filoni in cui si formano minerali e metalli. L'epoca moderna si è notevolmente allontanata da questo modo di concepire la terra; dovremmo invece recuperare il senso di rispetto reverenzia­le, quella primitiva deferenza che permeava il "compito sacro" degli antichi artigiani che lavoravano i metalli.

Lo stesso atteggiamento traspare in tutti gli scritti alchemici. Ne sono un chiaro esempio le parole di Valentinus, un'altra figura leggendaria - con ogni probabilità un monaco benedettino - che nel XV seco­lo scriveva:

 

Tutte le erbe, gli alberi e le radici, così come tutti i metalli e i mine­rali, traggono il proprio nutrimento dallo spirito della terra, che è lo spirito della vita. Tale spirito è a sua volta alimentato dagli astri che io rendono capace di trasmettere nutrimento a tutte le cose che cre­scono e di curarle come fa una madre con il figlio che tiene in grem­bo, i minerali sono nascosti nel grembo della terra, che li nutre con lo spirito che essa riceve dall'alto.

 

In questo brano possiamo constatare come la connessione fra terra e astri venga concepita in modo estremamente fisico e reale ma, al tempo stesso, sottile e invisibile, ossia "nascosto". È a partire da tale concezione della materia e dell'energia che possiamo iniziare a com­prendere ciò che gli alchimisti intendono per "terra".

 

ANTICHITA’

 

Le più antiche testimonianze storiche riguardanti l'alchimia risalgo­no all'antico Egitto. I primi alchimisti, pur scrivendo in greco, erano egiziani ed ebrei. La più nota fra essi, la "madre dell'alchimia" a li­vello pratico e terreno, è, secondo la leggenda, Maria di Amram, so­rella di Mosè, conosciuta anche come Maria l'Ebrea. A lei viene attri­buita la formula che prefigura direttamente le fasi del processo:

 

L'uno diventa due, il due diventa tre e dal terzo ha origine l'uno come il quarto.

 

A Maria l'Ebrea viene attribuita un'altra formula nella quale si parla di sposare "la gomma bianca e rossa", che indica la quarta fase de­nominata rubedo. Sempre a lei, inoltre, si deve l'invenzione dell'alam­bicco e della storta, due strumenti fondamentali fra le attrezzature di laboratorio. Oltre a Maria l'Ebrea, vi sono state anche altre donne al­chimisti (come Teosebcia, sorella di Zosimo).

 Un altro nome celebre, dopo Democrito, è quello di Zosimo, un artigiano di laboratorio del  XV secolo, visionario e prolifico scrittore di trattati, fra i quali La grande e divina, arte di generare. l'oro e l'argento.

Nelle opere di coloro che per primi si dedicarono alla pratica alchemica si rileva il senso di radicamento alla terra e si rintracciano le ba­si fondanti dell'alchimia quale scienza sperimentale. L'alchimia inizia a essere praticata come un processo fisico nel senso letterale del ter­mine, ossia come un processo di laboratorio finalizzato in primo luo­go alla produzione artificiale di oro e argento e talvolta di pietre pre­ziose, applicando tecniche che sopravvivono nella moderna industria orafa. Questi risultati erano ottenuti prevalentemente attraverso colo­razioni prodotte da leghe metalliche - per esempio, lo "sbiancamento" del ramo (utilizzando l'arsenico) e 1’ingiallimento" (tramite l'im­piego di polisolfuri ricavati dalla bollitura di calce e zolfo) - scaldate a temperature elevate.

Fra gli esperimenti più riusciti, dei quali restano a testimonianza al­cune ricette sorprendenti e stravaganti, vi fu il "raddoppio dell'oro" (procedimento volto a ottenere, letteralmente, una quantità doppia o ancora maggiore d'oro). Da questi primi esperimenti vennero tratti due principi fondamentali: innanzitutto, che fosse necessario sotto­porre l'oro alla "prova dal fuoco", al fine di verificarne la qualità; in secondo luogo, che l'oro potesse essere concepito come un seme o un fermento in grado di trasmutare una massa o un metallo di base ren­dendoli identici a se stesso. Queste idee vanno considerate da un punto di vista sia letterale sia metaforico.

 

Al contempo, con lo sviluppo delle attrezzature di laboratorio, cui si aggiunsero le metodiche di distillazione e calcinazione (combustio­ne), si delinearono le tre principali fasi dell'Opera, ossia 1'"anneri­mento" (residuo di piombo), 1'"imbiancamento" e l’ingiallimento". Che dire del processo in sé? Quale può essere stata la sensazione dei primi alchimisti nell'osservare un metallo trasformarsi in una massa informe di colore nero per poi assumere nuovamente le sembianze di un metallo e, per di più, del più nobile ai loro occhi? Dal nero all'oro: morte e resurrezione, metallo fuso nel suo (lindo ih minoso e silente, pregno di

 

Saturno era allora il pianeta più esterno (prima della scoperta di Net-tuno, Urano, Fiutone e, in tempi più recenti, di Chirone) rispetto agli altri, che, disposti in cerchi concentrici, formavano una sorta di spi­rale con un movimento interno diretto verso il centro. Qui era collocato il Sole/oro, il punto al centro del cerchio.





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