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IL PROTAGONISTA
- tratto dal libro I GRANDI DELLA STORIA edito da Arnoldo Mondadori -
Sintesi dell'aspetto caratteriale di Federico II
29-11-2011

Alla corte di Federico, i sinuosi ara­beschi delle danzatrici orientali, velate quanto bastava a risvegliare gli esercizi censurabili della fantasìa, s'intrecciava­no spesso alle funamboliche contorsioni di saltimbanchi e prestigiatori. Finché il sovrano, con gesto breve, ma impera­tivo, congedava musici, giocolieri e oda­lische, e chiamava a cerchio intorno a sé poeti, filosofi e scienziati. Regista im­pareggiabile della vita di palazzo, du­rante le geniali, curiose e spregiudicate discussioni con i suoi preferiti, Fede­rico amava soprattutto vestire i panni del primattore, e non mancava mai di sorprendere lo scelto uditorio: sia che interpretasse le sue poesie d'amore, ca­rezzando teneramente l'inseparabile fal­cone; sia che ordinasse di sezionare un uomo per verìficarne scientificamente la digestione. Tenero e crudele, violen­to e cortese, generoso e autoritario, Fe­derico è l'ultimo imperatore medioevale e il primo signore di un'epoca nuova, laica e mondana. Fragile nella scienza militare, il nipote del Barbarossa è un conoscitore profondo dell' arte diplo­matica.

Contro l'opinione e il volere dei pontefici, e contro la mentalità impe­rante nel suo tempo, non pensa, né cre­de, che la Provvidenza guidi meccani­camente la vita dell'uomo, benedica le crociate e le guerre sante; pensa piutto­sto che l'uomo debba collaborare con la Provvidenza, se non addirittura so­stituirla: costruendo liberamente e ra­zionalmente il proprio destino. « Fu uomo di gran cuore » scriverà Ni­colo Jamsilla, uno storico del XIII se­colo, amico del figlio Manfredi « ma la sapienza che molta era in lui temperò la sua magnanimità, di modo che mai non fu spinto a far niente per impeto, ma procedeva in tutto con la maturità del­la ragione... Erano nel felice tempo che egli governò pochi gli uomini dotti nel Regno di Sicilia, anzi quasi nessuno, e l'imperatore stabilì nel Regno scuole di arti liberali e d'ogni approvata scienza, avendo chiamati, con la liberalità dei premi, maestri da tutte le parti del mondo e stabilito dal suo erario uno stipendio non solo ad essi ma anche agli scolari poveri, acciocché gli uomini di qualsiasi condizione e fortuna non fos­sero allontanati dallo studio della fi­losofia per ragioni d'indigenza...

Similmente rispettò in tal modo la giusti­zia che a niuno era vietato con l'im­peratore stesso contendere il suo dirit­to. Egli si studiava che nel suo Regno la giustizia fosse eguale per tutti. Né alcuno avvocato dubitava d'intrapren­dere contro di lui la difesa di qualun­que più povero si fosse, avendolo l'im­peratore medesimo permesso, il quale stimava meglio che la giustizia fosse ri­spettata anche contro dì lui piuttosto che avere vittoria nella lite. Ma se così rispettava la giustizia, pure ne temperò sovente il rigore con la cle­menza. »

Nonostante questo parere estremamen­te elogiativo dello storico Jamsilla, non bisogna tuttavia dimenticare che se Fe­derico II fu grande nella virtù, fu altret­tanto "grande" anche nelle deteriori passioni umane. L'aquila sveva cono­sceva le vette più alte e abitava i cieli, ma non dimenticava, spesso e volentie­ri, dì piombare rapacemente sulla terra.





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