Alla corte di Federico, i sinuosi arabeschi delle danzatrici orientali, velate quanto bastava a risvegliare gli esercizi censurabili della fantasìa, s'intrecciavano spesso alle funamboliche contorsioni di saltimbanchi e prestigiatori. Finché il sovrano, con gesto breve, ma imperativo, congedava musici, giocolieri e odalische, e chiamava a cerchio intorno a sé poeti, filosofi e scienziati. Regista impareggiabile della vita di palazzo, durante le geniali, curiose e spregiudicate discussioni con i suoi preferiti, Federico amava soprattutto vestire i panni del primattore, e non mancava mai di sorprendere lo scelto uditorio: sia che interpretasse le sue poesie d'amore, carezzando teneramente l'inseparabile falcone; sia che ordinasse di sezionare un uomo per verìficarne scientificamente la digestione. Tenero e crudele, violento e cortese, generoso e autoritario, Federico è l'ultimo imperatore medioevale e il primo signore di un'epoca nuova, laica e mondana. Fragile nella scienza militare, il nipote del Barbarossa è un conoscitore profondo dell' arte diplomatica.
Contro l'opinione e il volere dei pontefici, e contro la mentalità imperante nel suo tempo, non pensa, né crede, che la Provvidenza guidi meccanicamente la vita dell'uomo, benedica le crociate e le guerre sante; pensa piuttosto che l'uomo debba collaborare con la Provvidenza, se non addirittura sostituirla: costruendo liberamente e razionalmente il proprio destino. « Fu uomo di gran cuore » scriverà Nicolo Jamsilla, uno storico del XIII secolo, amico del figlio Manfredi « ma la sapienza che molta era in lui temperò la sua magnanimità, di modo che mai non fu spinto a far niente per impeto, ma procedeva in tutto con la maturità della ragione... Erano nel felice tempo che egli governò pochi gli uomini dotti nel Regno di Sicilia, anzi quasi nessuno, e l'imperatore stabilì nel Regno scuole di arti liberali e d'ogni approvata scienza, avendo chiamati, con la liberalità dei premi, maestri da tutte le parti del mondo e stabilito dal suo erario uno stipendio non solo ad essi ma anche agli scolari poveri, acciocché gli uomini di qualsiasi condizione e fortuna non fossero allontanati dallo studio della filosofia per ragioni d'indigenza...
Similmente rispettò in tal modo la giustizia che a niuno era vietato con l'imperatore stesso contendere il suo diritto. Egli si studiava che nel suo Regno la giustizia fosse eguale per tutti. Né alcuno avvocato dubitava d'intraprendere contro di lui la difesa di qualunque più povero si fosse, avendolo l'imperatore medesimo permesso, il quale stimava meglio che la giustizia fosse rispettata anche contro dì lui piuttosto che avere vittoria nella lite. Ma se così rispettava la giustizia, pure ne temperò sovente il rigore con la clemenza. »
Nonostante questo parere estremamente elogiativo dello storico Jamsilla, non bisogna tuttavia dimenticare che se Federico II fu grande nella virtù, fu altrettanto "grande" anche nelle deteriori passioni umane. L'aquila sveva conosceva le vette più alte e abitava i cieli, ma non dimenticava, spesso e volentieri, dì piombare rapacemente sulla terra.